[Recensione] Geraldina Colotti (Le Monde Diplomatique) – Un soggetto pericoloso

di Geraldina Colotti | Le Monde Diplomatique – il manifesto

 

Esce per la prima volta in edizione italiana, proposto da MarxVentuno, questo testo ancora attualissimo, Il processo della colonizzazione francese, di Hồ Chi Minh, curato da Alessia Franco e con la collaborazione di Alessandro Sagliano. Tradotto dal francese da Mara Piglionica e Fabio De Leonardis, il volume raccoglie documenti testimonianze e lettere del rivoluzionario indipendentista vietnamita (1890-1969), quando si trovava a Parigi e ancora non era diventato la figura più eminente nella storia del Vietnam moderno. Con un adeguato apparato cronologico e un quadro del contesto, fornito da Guglielmo Pellerino nell’introduzione, il libro offre al lettore la possibilità di cogliere la genesi e la portata della lotta anticoloniale nella temperie del secolo scorso e il ruolo propulsore della Rivoluzione d’Ottobre.

Le procès de la colonisation française viene pubblicato nel 1925. Riprende in parte alcuni articoli comparsi negli anni precedenti sul giornale anticolonialista Le Paria, fondato a Parigi da Hồ Chi Minh, e firmati con uno dei tanti pseudonimi che assunse (tra i 50 e i 200, si racconta), nel corso dei suoi viaggi in vari paesi e per i più svariati mestieri. Il volume ricostruisce gli spostamenti del rivoluzionario, ripercorrendo le tappe dell’occupazione francese, iniziata 31 agosto 1858 con un attacco navale contro Đà Nẵng, che porterà alla capitolazione della monarchia e della corte di Huế, allora capitale del Vietnam, e all’instaurazione di un protettorato.

Nel suo peregrinare tra paesi e mestieri, per lo più umili, il futuro Hồ Chi Minh ha certamente avuto modo di acquisire quella visione del mondo e quella capacita di assorbire e rielaborare altre culture, anche quella coloniale, per renderle funzionali alia liberazione di quei lavoratori e lavoratrici, soprattutto provenienti dalle colonie, il cui sfruttamento aveva conosciuto a fondo.

Per molti anni, fino al 1944, Hồ Chi Min firma articoli e documenti politici con il nome di Nguyễn Ái Quốc, con il quale interpreta le rivendicazioni del popolo annamita, diventando molto popolare tra gli indo-cinesi residenti in Francia. Oltreché militante rivoluzionario – fu tra i fondatori del Partito comunista francese e di quello vietnamita – fu scrittore, poeta e giornalista che ha lascialo molle opere scritte in vietnamita, cinese e francese. L’efficacia del suo stile asciutto e sarcastico, ben restituito dai traduttori, consente perciò di cogliere dall’interno la realtà dell’occupazione coloniale francese (in Indocina e in altre aree dell’Africa e dei Caraibi), in 12 capitoli tematici, quali L’imposta sul sangue, II militarismo, Lo sfruttamento, Il martirio delle donne indigene…

«Prima del 1914 – scrive, riferendosi ai colonizzati – erano considerati solo come degli sporchi negri e degli sporchi annamiti, buoni al massimo a tirare i risciò e a ricevere bastonate dai nostri amministratori. Una volta dichiarata la gaia e fresca guerra, eccoli divenuti “cari figli” e “coraggiosi amici” dei nostri paterni e teneri amministratori e dei nostri governanti più o meno generosi. Loro (gli indigeni) furono d’un tratto promossi al grado supremo di “difensori del diritto e della libertà”. Ciò nonostante, questo onore improvviso è costato loro molto caro perché per difendere questo diritto e questa libertà, dei quali loro stessi erano sprovvisti, hanno dovuto improvvisamente abbandonare le loro risaie, le loro pecore, i loro figli e le loro donne, per venire oltreoceano a marcire sui campi di battaglia dell’Europa».

 

Un “soggetto pericoloso” per il governo francese, che lo controlla con preoccupazione fin dal 1919: pericoloso perché, con uno sguardo dall’interno, ma anche capace di collegarsi a una visione generale della lotta di classe. Nguyễn Ái Quốc smaschera la narrazione egemonica della cultura dominante e la trasforma in uno strumento di lotta, in linea con il pensiero di Lenin e della rivoluzione bolscevica.

Una lettura utile – dice con ragione il volume – anche per le nuove generazioni che si trovano ad attraversare una fase storica in cui si stanno replicando politiche (neo)colonialiste, come nel caso di Israele, le cui operazioni sono mascherate dietro concetti che ne nascondono la natura.

Il capitalismo – scrive il futuro Hồ Chi Minh – «è una sanguisuga a due ventose, delle quali una succhia il proletariato metropolitano e l’altra il proletariato delle colonie. Se si vuole uccidere questo mostro bisogna tagliargli entrambe le ventose in una volta. Se se ne taglia una sola, l’altra continuerà a succhiare il sangue del proletariato, la bestia continuerà a vivere, e la ventosa tagliata rispunterà».

Come ulteriore approfondimento, si può leggere – in francese – il saggio a più voci Les partis communistes occidentaux et I’Afrique. Une histoire mineure?, curato da Françoise Blum, Marco Di Maggio, Gabriele Siracusano e Serge Wolikow per Hémisphères Éditions. Lo studio analizza la nature dei legami esistenti tra i partiti comunisti dei paesi occidentali che hanno avuto o continuano ad avere un impero coloniale (Francia, Regno Unito, Portogallo, Italia e Belgio) e il continente africano. Uno sguardo d’insieme, e in prospettiva storico-politica, sulle dinamiche esistenti tra metropoli del “centro” e metropoli post-coloniali, e sulle relazioni tra gli ambienti marxisti europei e quelli delle “periferie”, nel quadro dei mutamenti avvenuti nell’orientamento politico degli uni e degli altri.

 

di Geraldina Colotti

Pubblicato su Le Monde Diplomatique, aprile 2022

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