Più che mai, ritiro di qualunque Autonomia differenziata: NO alla Legge quadro!

Una Legge quadro che apre la porta alla disarticolazione della Repubblica

Più che mai, ritiro di qualunque Autonomia differenziata

NO alla Legge quadro!

L’8 novembre il ministro Boccia ha presentato una bozza di Legge Quadro “per l’attribuzione alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia”, ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione.

Siamo dunque di fronte ad un primo passo concreto verso il riconoscimento dell’Autonomia differenziata alle Regioni che ne hanno fatto o ne potranno fare richiesta.

Per noi che ci situiamo in modo netto nel campo del rifiuto di qualunque Autonomia differenziata si tratta indubbiamente di una direzione inaccettabile.

Vogliamo tuttavia analizzare la Legge quadro partendo dalle argomentazioni di chi sostiene che un’Autonomia differenziata “equa”, “solidale”, “cooperativa” sia possibile.

 

1) La Legge quadro, se approvata, costringerebbe le Regioni che chiedono più Autonomia ad agire entro un quadro definito e chiaro?

La risposta è No. Gli atti legislativi della nostra Repubblica sono ordinati secondo una scala gerarchica, il più elevato dei quali – la Costituzione – vincola tutti gli altri. La Legge quadro è una legge ordinaria o di grado “inferiore” rispetto alla Legge prevista dall’art. 116 Cost. che è di natura speciale e rinforzata dalla previsione delle intese con le Regioni interessate e della maggioranza assoluta del voto parlamentare. Come scrive il Massimo Villone “essa rimane in principio modificabile da una legge successiva recante intesa con una Regione, ex art. 116. Quindi la Legge quadro non è idonea a vincolare alcunché, nel metodo e nel merito”. Per resistere all’abrogazione da parte di una legge successiva, la legge attuativa del terzo comma dell’art. 116 dovrebbe pertanto essere di rango costituzionale.

2) La Legge-quadro sancisce tuttavia, almeno, che l’Autonomia differenziata possa applicarsi solo dopo la definizione dei LEP, omogenei per tutto il Paese?

Anche in questo caso la risposta è no. Infatti, dopo aver stabilito il principio dell’obiettivo della perequazione infrastrutturale e stabilito che i futuri riparti delle risorse debbano tenere in conto detti obiettivi, la legge quadro vanifica l’originario intento perequativo, stabilendo che se “entro 12 mesi dall’approvazione dell’intesa non siano determinati i LEP, gli obiettivi di servizio e i fabbisogni standard e sino alla loro determinazione, le nuove funzioni sono COMUNQUE attribuite alle Regioni dal 1° gennaio dell’esercizio successivo” e le risorse continueranno a essere attribuite con il criterio della spesa storica, ossia senza interventi di perequazione. Con la conseguenza che i fabbisogni standard dei diritti sociali fondamentali delle aree “con minore capacità fiscale per abitante”, e i relativi costi, continueranno a essere ignorati, in palese violazione dell’art. 119, comma 3, della Costituzione.

3) La Legge quadro prevede però che questi LEP uniformi su tutto il Paese possano essere definiti, se non entro un anno, almeno successivamente…

Apparentemente può sembrare così, ma in realtà la stessa Legge definisce condizioni impossibili affinché questo avvenga. In essa si legge infatti che “la determinazione dei LEP, nonché i successivi riparti, avvengono nei limiti delle risorse a carattere permanente iscritte nel bilancio dello Stato a legislazione vigente”. Analizziamo bene. Questo limite di bilancio pone per la realizzazione dei LEP una sola alternativa: o si taglieranno i fondi per le Regioni del Nord, abbassando drasticamente i servizi e aprendo la strada alla loro privatizzazione; oppure si lascerà il Sud sostanzialmente nella condizione attuale, spostando al massimo fondi del tutto insufficienti alla perequazione. Non solo: poiché i “limiti di bilancio” sono ogni anno più stretti, tutte le Regioni verranno penalizzate. In conclusione: o i LEP non vedranno mai la luce oppure saranno di livello bassissimo.

 

4) La Legge quadro preserva qualche materia dalla regionalizzazione, per esempio l’istruzione, come era stato “garantito” dal ministro Fioramonti?

No, nessuna materia viene esclusa dalla possibile Autonomia differenziata.

5) La Legge quadro mette al riparo dalla distruzione dei contratti nazionali, dalla concorrenza al ribasso delle legislazioni del lavoro, dal dumping sociale?

No. Al contrario, è evidente che l’attribuzione di maggiori competenze alle Regioni aprirà la strada a legislazioni concorrenti al ribasso per attrarre manodopera.

6) La Legge quadro mette al riparo dall’aumento delle tasse per i cittadini?

Assolutamente No. Al contrario, in essa si legge chiaramente che “ai fini del coordinamento della finanza pubblica, previsione della facoltà dello Stato di stabilire (…) misure a carico della Regione, a garanzia dell’equità nel concorso al risanamento della finanza pubblica”. Tutte le Regioni dovranno dunque scegliere tra il tagliare servizi e prestazioni pubbliche o istituire nuove tasse, che comunque potranno essere varate per pagare il cosiddetto “debito” e rispettare il Patto di stabilità e i vincoli dell’UE.

7) La Legge quadro mette al riparo dalle privatizzazioni o almeno le limita?

No, anzi le promuove attraverso la cosiddetta “sussidiarietà”, principio piegato negli ultimi 20 anni fino a prevedere che un servizio possa essere gestito indifferentemente da un privato o da un ente pubblico. E’ evidente che la possibile difesa dei servizi pubblici risulterà molto più difficile quando i cittadini saranno divisi tra le Regioni.

Questi sono i fatti. Chi può pensare, sulla base di essi, che l’Autonomia differenziata che si prefigura con questa legge “salvaguardi il principio di coesione nazionale e di solidarietà”, come era scritto nel programma di governo?

Al contrario, questa Legge apre la porta alla disarticolazione completa dello Stato, alla non esigibilità dei diritti universali, sociali e politici, su tutto il territorio nazionale e rappresenta un pericolo per tutti i cittadini, per tutti i lavoratori.

Se infatti è vero, come abbiamo sempre affermato, che l’Autonomia differenziata colpirebbe in modo particolare il sud del Paese, è altrettanto evidente che essa porterebbe un colpo a tutti i cittadini, poiché i tagli alla spesa pubblica, le privatizzazioni, la disarticolazione dell’istruzione, della sanità, delle politiche ambientali, delle infrastrutture, l’attacco ai contratti nazionali troverebbero un’accelerazione. Uno dei motivi principali dell’Autonomia differenziata risiede proprio in questo: far esplodere la legislazione nazionale, le condizioni di lavoro, l’accesso ai servizi per poter frantumare la resistenza unita della maggioranza della popolazione e mettere gli uni contro gli altri per far passare i peggiori attacchi, configurando – peraltro – una vera e propria riforma istituzionale sotto mentite spoglie: un’autonomia eversiva, dunque.

I cittadini hanno diritto prima di tutto ad avere indietro ciò che è stato sottratto attraverso i tagli e il meccanismo della spesa storica. Non è possibile che si spendano almeno 80 milioni al giorno per spese militari, quando le persone a rischio povertà o esclusione sociale crescono in tutto il Paese e in particolare nel sud Italia, dove, nel 2018, sono il 43% mentre la differenza tra il fabbisogno totale e la capacità fiscale di tutti i comuni italiani, nel 2016, era di 8 mld di euro circa.

Non è accettabile che per ben il 55% dei comuni italiani il fabbisogno di asili nido sia 0.

Se il fondo perequativo non è sufficiente, si ricorra ad altri finanziamenti, trovandoli dove ci sono.

Sono dunque i fatti che confermano la giustezza della nostra posizione, riaffermata il 29 settembre:

“Qualunque progetto che apra la porta alla sostituzione delle normative nazionali con generici “principi”, LEP, intese e quindi leggi regionali, mina alle fondamenta l’unità del Paese e apre la porta ad ulteriori “scivolamenti”, prima di tutto e in modo drammatico al Sud, ma in ultima analisi dappertutto, tanto più nel contesto di riduzione della spesa pubblica e di privatizzazioni che viviamo.

In questi mesi diverse voci si sono levate in modo critico sul tema dell’Autonomia differenziata. L’unità di queste voci sulla rivendicazione precisa del “ritiro di qualunque Autonomia differenziata” può costringere il governo a fermare il processo pericolosissimo che si cela dietro gli slogan.

È questo l’appello che dunque rilanciamo a tutti, gruppi, associazioni, partiti, sindacati: uniamoci sulla parola d’ordine precisa del “ritiro”, prima di tutto di questa Legge quadro micidiale e quindi di tutto il processo in corso. Questa è l’unica strada che non lascia spazio alle conseguenze gravissime che una qualunque Autonomia differenziata porterebbe con sé (non ultima, l’apertura di un contenzioso infinito Stato-Regioni che potrebbe portare velocemente su un piano politico inquietante, oltre che su quello giuridico).

Da parte nostra, rilanciamo l’azione decisa nella riunione nazionale del 9 novembre a Roma:

– “Staffetta per l’unità della Repubblica e per l’uguaglianza dei diritti” nella settimana dal 9 al 14 dicembre, con volantinaggi, incontri pubblici, sit-in, lezioni in piazza organizzati dai Comitati di scopo

– Presidi contemporanei a inizio gennaio

– Delegazione al Presidente del Consiglio e al ministro Boccia

Ripartiamo dalla “Staffetta per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti”, costruiamola in tutte le città!

 

Il Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, 18 novembre 2019

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