Bruno Steri – Italia in guerra. Il sovranismo servo di Giorgia Meloni. Ambizioni e tendenze del governo di destra

Italia in guerra. Il sovranismo servo di Giorgia Meloni. Ambizioni e tendenze del governo di destra

di Bruno Steri

 

[Relazione presentata al Forum Guerra e mondo multipolare: impatto e prospettive il 15 aprile 2023]

 

Buon giorno a tutte e tutti. Ringrazio i compagni di marx21 per l’invito a questo importante Forum. A me spetta il compito di relazionare su: “Italia in guerra. Il sovranismo servo di Giorgia Meloni. Ambizioni e tendenze del governo di destra”.

Inizierei da qualche considerazione sul contesto in cui si trova ad operare il governo di Giorgia Meloni: in particolare, sottolineando la dimensione davvero paradossale del contrasto tra quello che chiamiamo “palazzo” e il Paese reale. Da un lato, non cessa infatti di crescere la percentuale di italiani che dicono No all’invio di armi all’Ucraina e si dicono preoccupati per l’evolvere (o, meglio, l’involvere) della situazione: da un sondaggio di Demopolis risulta che la somma tra chi si dichiara “abbastanza preoccupato” e chi “molto preoccupato“ raggiunge l’80% degli intervistati. 2 italiani su 3 temono il rischio atomico (un timore che ci pare del tutto comprensibile oltre che assai fondato, come ha ben evidenziato la relazione di Manlio Dinucci); e 1 su 4 considera la Russia un “partner necessario”. Su questa stessa linea tematica, un sondaggio IPSOS ci informa che alla fine di febbraio scorso il 45% di italiani erano contrari all’invio di armi, a fronte di un 34% favorevoli. Da allora la percentuale dei No è andata costantemente aumentando.

Soprattutto, è interessante disaggregare questo dato per verificare gli umori degli iscritti alle forze politiche di governo: in Fratelli d’Italia la percentuale dei No cresce al 47%; e tra gli iscritti alla Lega raggiunge il 55%. Si tratta di dati significativi, pur tenendo conto del fatto che a destra sono sempre esistite pulsioni antiamericane. In proposito, sono stato incuriosito da un titolo della Gazzetta di Modena comparso in rete un paio di settimane fa: “Manifestazione di destra a sostegno di Putin. Lessico con nostalgie dell’Urss. E sventolano anche bandiere rosse con falce e martello”. In realtà si è trattato di un’iniziativa contro la guerra promossa unitariamente a sinistra, in cui sono confluiti gruppi politici appartenenti alla galassia delle destre: come ad esempio “Modena sociale” nato dalla scissione dalla Lega di una consigliera comunale modenese; o “Ancora Italia”, gruppo politico nel cui programma si auspica il “superamento del capitalismo e del marxismo”. Dall’affermazione di un esponente di quest’ultimo gruppo, citata nel suddetto articolo, risulta del tutto chiara la posizione sulla guerra: “Riconosciamo nella Russia e in Putin l’unico vero concreto ostacolo all’instaurazione di questo Nuovo Ordine Mondiale a trazione americana”. Tutto ciò a conferma del fatto che, al netto delle divergenze ideologiche, l’opposizione alla guerra è ampiamente presente a sinistra come a destra.

Rispetto a quelli che sono i dati provenienti dal Paese reale, abbiamo un Parlamento quasi tutto “atlantico”. Non mi pare di ricordare – a mia memoria – una divaricazione così netta: a stragrande maggioranza, fedeli esecutori degli ordini statunitensi (con l’eccezione del M5S, il quale ha votato contro l’invio di armi: certamente, una buona notizia, che comunque non fa dimenticare il voto favorevole dato solo un anno fa dai Ministri 5Stelle al Decreto Ucraina proposto in Consiglio dei Ministri dall’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi, che appunto prevedeva tale invio). A Montecitorio, Meloni si è dichiarata garante degli impegni già presi con la Nato. A poco è servito il dissenso espresso in merito, all’interno della maggioranza di governo, dal parlamentare leghista Massimiliano Romeo, subito ricondotto a più miti consigli dal suo capogruppo Stefano Candiani, il quale in verità ha anche provato a trovare una mediazione con una battuta alquanto grottesca: “Non si può combattere e basta!” (battuta che non ha fatto comunque mancare a Meloni il voto leghista). Per carità di patria non mi dilungo più di tanto sulla neosegretaria del Partito Democratico Elly Schlein – oggi accreditata come fautrice di un’ipotetica svolta – la quale ha addirittura disertato una riunione parlamentare non certo secondaria quale quella sull’invio di armi, per andare al vertice del Partito Socialista Europeo a confermare pieno sostegno a Kiev (glissando tra l’altro sulle domande dei giornalisti che chiedevano una risposta chiara circa la richiesta Nato di destinare il 2% di Pil alle spese militari). Lo squallore del nostro panorama politico-istituzionale non è riuscito a partorire un sussulto di ribellione nemmeno davanti alla notizia – gravissima – dell’invio agli ucraini da parte dell’Inghilterra di proiettili all’uranio impoverito: armi il cui uso ha provocato in Serbia l’aumento abnorme di tumori e leucemia e, per quel che riguarda l’esercito italiano, 8000 militari ammalati e 400 deceduti. In proposito, resta il ridicolo commento di Antonio Taiani, il quale si è limitato a salvarsi l’anima ricordando che l’Inghilterra non fa più parte dell’Unione europea e prende quindi decisioni autonome (ciò che fa venire alla mente l’arguzia del grande Totò: e chè sò Pasquale io?).

In definitiva, sono quasi tutti allineati al “Tribunale dei vincitori” che, sotto il nome della Corte Penale Internazionale dell’Aia, ha accusato Putin di “crimini di guerra” in riferimento alle vittime civili causate dal suo intervento militare. Un giudizio etico, ancor prima che politico, da parte di un’istituzione destituita di autorevolezza sia etica che politica: ne dà prova il silenzio da questa osservato in occasione dei 6 mila morti civili causati dall’aggressione alla Serbia nel 1999, dei 700 mila morti civili accertati tra il 2003 e il 2011 a seguito dell’aggressione e l’occupazione dell’Iraq (già nei primi 4 anni, tra il 2003 e il 2006, le vittime erano 150 mila, secondo il calcolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), dei 400 mila morti civili causati dall’occupazione dell’Afghanistan tra il 2001 e il 2021. E potremmo continuare con le tristi imprese compiute da coloro che si sono sin qui considerati i padroni del mondo, un mondo per l’appunto “unipolare” messo oggi in questione dalla poderosa spinta in direzione di un mondo “multipolare”.

La grancassa mediatica ha svolto diligentemente il compito di guidare il suddetto coro “atlantico”. Ma, come detto, fuori dal “palazzo” le cose non sono andate secondo le aspettative di lorsignori. In Italia, ma anche nel resto del mondo. I 3/4 del globo non hanno infatti seguito e non seguono gli Usa nella loro guerra per procura. E organismi importanti come il Bulletin of the Atomic Scientists hanno lanciato l’allarme: le lancette dell’orologio dell’apocalisse sono a soli 90 secondi dalla Mezzanotte. Una misura di quanto in realtà sia limitato il mondo dell’Occidente capitalistico l’abbiamo ancora una volta registrata lo scorso 25 febbraio in occasione della votazione svoltasi in sede Onu e concernente la risoluzione di condanna della Russia: risoluzione che ha ottenuto 141 voti a favore, 32 astensioni e 7 voti contrari. I media mainstream hanno cantato vittoria, dimenticando o facendo finta di dimenticare che i 39 Paesi (32 astenuti più 7 contrari) che non hanno votato a favore rappresentano 4 miliardi e 200 milioni di abitanti, la maggioranza del pianeta, e il 30% del Pil mondiale (tra questi ci sono la Cina, l’India, i Paesi arabi, la Turchia ecc). Tra l’altro, alcuni che hanno votato a favore (vedi il Brasile di Lula) hanno dichiarato di voler comunque mantenere buone relazioni con Mosca.

Tornando all’Italia e al suo governo, si può ben capire come l’indicazione sia quella di limitare al minimo le dichiarazioni sulla guerra, lasciando che sia il martellamento mediatico a compiere il lavoro di appannamento delle coscienze: ciò in considerazione del prezzo che potrebbe esser pagato in termini di consenso e di voti.  Addirittura assordante è il silenzio osservato nel merito da Salvini e Berlusconi. Conviene a questo punto fare un ulteriore approfondimento a proposito dell’equivocità che ha specificamente caratterizzato la posizione tenuta in questi anni da Giorgia Meloni. Ricapitoliamo in poche righe. Meloni, con Guido Crosetto e Ignazio La Russa, fonda nel 2012 Fratelli d’Italia; nel 2013, alle elezioni politiche, Fratelli d’Italia prende l’1,6%. Nel corso degli anni, si attenua l’immagine di una destra antieuropeista e antiamericana. Alle elezioni europee del 2019 Fratelli d’Italia consegue il 6,4%. Nel frattempo sono arrivati cospicui finanziamenti: l’ascesa di Fratelli d’Italia è anche il frutto di una strategia che va oltre i confini nazionali. Come ha evidenziato un’inchiesta condotta da L’Espresso nel 2019, il partito della Meloni è finanziato, oltre che da costruttori romani come Luca Parnasi, da un colosso energetico quale Exxon e da British American Tobacco. Nel 2019 la stessa Meloni partecipa alla Conservative Political Action Conference, conferenza annuale dei conservatori americani, sedendo sul palco con Donald Trump. Il rapporto tra Trump e Meloni è curato da Steve Bannon, ideologo della destra sovranista (un contesto cui guardano tra gli altri Meloni, Bolsonaro, Orban); e lo stesso Bannon partecipa ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia. Evidentemente, in questi anni Giorgia Meloni ha imparato la lezione: qualcuno gliel’ha impartita a suon di milioni di finanziamenti.

Tant’è che non abbiamo più la Giorgia Meloni che nel 2012 se la prendeva con Mario Monti, allora Presidente del Consiglio, utilizzando toni barricadieri e identificando i suoi avversari con gli amici dei tecnocrati e dei potenti del mondo. Abbiamo annotato alcune delle sue invettive di allora: “Ormai in Italia, per ricoprire determinati incarichi, pare che si debba per forza partecipare alle riunioni di Bilderberg”. E ancora: “Vogliamo sapere perché 130 personalità influenti si accordino per decidere le sorti degli Stati. Monti ha il dovere morale di riferire in Parlamento sugli esiti di questi incontri. E’ una vergogna che un premier partecipi a riunioni segrete in cui si influenza il futuro dei popoli a guadagno della tecnocrazia e della finanza”. Così parlava Giorgia Meloni. Oggi, come abbiamo visto, è un’altra storia: la cui descrizione va completata, a conclusione di questa relazione, spendendo qualche parola sull’Aspen Institute.

Si tratta di un prestigioso think tank – “serbatoio di pensiero” o, tradotto più liberamente, “centro studi” – che prende il nome da Aspen, cittadina del Colorado a ridosso delle Montagne rocciose: una sorta di Cortina statunitense, con alberghi e ristoranti di lusso. Si tratta di un crocevia di politici ed accademici non solo americani, la cui sede centrale è a Washington, ma con sedi in mezzo mondo, compresa l’Europa: l’Aspen Istitute Italia è presieduto da Giulio Tremonti. Nella sede di Roma non ha mancato di recarsi Joe Biden in una delle sue ultime visite italiane, quando era vice di Obama. Chi partecipa ai seminari e alle conferenze organizzate da questo think tank? Un’idea la si può ricavare ad esempio da un articolo de ‘Il Corriere della Sera’ del 30 giugno 2008 (Direttore Paolo Mieli), che presentava una di queste conferenze, già prevista per il giorno successivo. Tra gli altri avrebbero partecipato: ovviamente il responsabile per l’Italia Giulio Tremonti (che allora era anche Ministro del Tesoro), Giorgio Napolitano (Presidente della Repubblica), Mario Draghi (Governatore della Banca d’Italia), John Elkann (vicepresidente della FIAT e dello stesso Aspen Italia). I soci dell’Aspen (tra i quali figurano anche Mario Monti e Romano Prodi) vengono descritti sul relativo sito come persone di chiara fama accademica ed eccellenza professionale; e i seminari come strumenti che “aiutano a lavorare in modo più informato e intelligente, a spingere verso il successo negli affari, nella leadership apartitica, nella vita, per dare equilibrio a valori in conflitto” (sublime il modo in cui con queste ultime parole si traduce e ricompone la lotta di classe!). A finanziare questo salotto buono della finanza internazionale sono, manco a dirlo, le più potenti lobbies del capitalismo: da Carnegie Corporation a Rockefeller Brothers Fund, a Ford Foundation. Altro che massoneria “de noantri”, qui siamo in presenza della massoneria che conta, del luogo dove si prendono le decisioni (e poi i Parlamenti seguono come l’intendenza).

Perché ho dedicato un po’ di spazio all’Alpen Institute? Semplicemente per il fatto che nel 2021 Giorgia Meloni vi entra a far parte come socio onorario. Un essenziale by-pass in vista dei suoi futuri e importantissimi incarichi istituzionali. Tra quanti sono impegnati a supportare la Presidente del Consiglio e a consolidare la professione di fedeltà atlantica del suo governo, merita una citazione Guido Crosetto. Il quale, il 15 febbraio scorso, ha costituito un Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa in cui, tra coloro che assicureranno il loro contributo, figurano l’immancabile Gianni Riotta – distintosi di recente per un articolo su ‘La Repubblica’ dal titolo “Identikit dei putiniani d’Italia” – e Angelo Panebianco, anch’egli impegnatosi su ‘Il Corriere della Sera’ a identificare “Quelli che in Italia tifano per Putin”. Due interventi che hanno il sapore di altrettante liste di proscrizione.

Questo è purtroppo il clima che ci ha sin qui riservato a stragrande maggioranza “il Palazzo”; ma, come abbiamo visto, è fondamentale che gli umori del Paese si siano mostrati nel complesso assai diversi. La cultura politica dei comunisti ha sempre prescritto che, specie su un tema come quello dell’opposizione tra la pace e la guerra, occorra cercare il più ampio consenso del Paese, agendo sulle contraddizioni delle forze politiche più o meno dichiaratamente belliciste e raccogliendo, oltre le divaricazioni ideologiche, il desiderio di pace ovunque si presenti. Anche oggi, i comunisti e la sinistra di classe nel suo insieme devono provare ad andare al di là di se stessi: per la costruzione di un grande, maggioritario movimento per la pace e contro la guerra.

[Relazione presentata al Forum Guerra e mondo multipolare: impatto e prospettive il 15 aprile 2023]

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